25 febbraio 2007

Il paradosso di Fermi

"Se esistono davvero altre forme di vita intelligenti, allora perché non sono già qui?". Il primo a porre la domanda in questi termini fu, a quanto si dice, Enrico Fermi. Fermi aveva l'abitudine di porre ai suoi studenti problemi apparentemente complessi che potevano essere risolti scomponendoli prima in problemi più maneggevoli, e poi stimando approssimativamente il valore delle quantità coinvolte. Per esempio: quanti accordatori di pianoforti ci sono nella città di Chicago? Sembra una domanda senza senso, ma Fermi la risolveva conoscendo il numero di abitanti di Chicago, quindi stimando il numero di famiglie in città, poi ipotizzando quante di queste famiglie possedessero un pianoforte, quante volte in un anno un pianoforte necessiti di essere accordato e, infine, il tempo medio che impiega un accordatore per fare il suo lavoro. Conoscendo la durata media di una giornata lavorativa, poteva quindi ottenere la soluzione al problema.

Seguendo questo tipo di argomentazione, Fermi tentò di stimare la probabilità che la nostra Galassia ospiti forme di vita intelligenti con un livello di sviluppo tecnologico superiore al nostro, partendo dal fatto ovvio che non vediamo tracce della loro presenza. Secondo Fermi, essendo la nostra Galassia vecchia di almeno una decina di miliardi di anni, qualsiasi civiltà abbastanza longeva e tecnologicamente avanzata avrebbe avuto già tutto il tempo di esplorarla completamente, anche viaggiando a velocità abbastanza ridotte. Dalla constatazione che niente di tutto questo sembra essere successo, Fermi concluse che la nostra è l'unica civiltà tecnologica presente nella Galassia (o comunque che eventuali altre civiltà non abbiano un grado di sviluppo molto superiore al nostro).

L'argomento è piuttosto forte, ed è stato usato più volte per tentare di dimostrare l'inutilità delle ricerche di tipo SETI (ad esempio, in un articolo di Frank Tipler di oltre venti anni fa, che è riprodotto interamente in uno dei capitoli del famigerato "Il principio antropico"). Esiste tuttavia una quantità enorme di possibili soluzioni al paradosso di Fermi (troppe, per esporle qui; un'esposizione divulgativa molto completa si trova nel libro di Stephen Webb "Se l'universo brulica di alieni... dove sono tutti quanti?"). Molta della forza del paradosso poggia sulla stima del tempo necessario a esplorare tutte le stelle della Galassia: un tempo che viene in genere considerato dell'ordine del milione di anni, quindi piccolo rispetto all'età della Galassia stessa. Molti degli studi basati sull'argomentazione di Fermi (incluso quello di Tipler) ipotizzano che l'esplorazione della Galassia potrebbe avvenire usando sonde meccaniche, eventualmente in grado di autoripararsi e autoriprodursi (le cosiddette sonde di Von Neumann) ma questa ipotesi fu contestata, ad esempio, da Carl Sagan. Una possibilità alternativa, è quella dell'astronave generazionale relativistica. Di recente, è apparso un nuovo studio ("Exploring the Galaxy using space probes") di Rasmus Bjørk, del Niels Bohr Institute di Copenhagen, che riconsidera la questione usando simulazioni più realistiche, giungendo a una stima molto più lunga del tempo di esplorazione: una decina di miliardi di anni, abbastanza per escludere la possibilità di esplorazione della Galassia con sonde automatiche nel tempo a disposizione fino ad oggi.

Personalmente, mi è sempre sembrato che il problema sia essenzialmente malposto e non veramente scientifico, nel senso che non vedo proprio come l'affermazione di Fermi possa essere falsificata, se non attraverso un contatto diretto con un'altra civiltà: ma allora siamo in una situazione di attesa passiva dell'evento, e non di indagine razionale. Trovo anche abbastanza sorprendente che si sia sviluppata una letteratura tecnica relativamente vasta al riguardo. Tuttavia, a livello di pura speculazione intellettuale si può (e, in un certo senso, si deve) rimuginare a piacere su problemi di questo tipo, senza altra pretesa che quella di usarli come una palestra per l'immaginazione.

21 febbraio 2007

Percorsi strani

Oltre alle segnalazioni apparse nei commenti al mio post sui blog scientifici italiani, vorrei raccomandare un altro nuovo blog molto bello: si chiama Percorsi strani e tocca temi che sono molto cari a chi scrive qui. In particolare, consiglio il lungo post sull'arca interstellare (o astronave generazionale): un'idea più volte esplorata dalla fantascienza (ad esempio da Robert Heinlein in Universo, o Poul Anderson in Tau Zero) ma in realtà basata su solidi fondamenti scientifici, derivanti dalla teoria della relatività ristretta di Einstein.

19 febbraio 2007

I due volti dell'universo oscuro

La settimana scorsa, con Marco Bruni e Claudia Quercellini, abbiamo terminato la scrittura di un articolo che appare oggi su arXiv. Riassume i risultati del nostro lavoro degli ultimi tempi sul lato oscuro dell'universo, che oggi è probabilmente il problema più importante in cosmologia.

L'universo contiene una grande quantità di energia e materia non direttamente osservabile (ovvero che non emette radiazione elettromagnetica) ma che fa sentire la sua influenza attraverso l'interazione gravitazionale. Si sa con buona precisione che questa componente oscura deve essere ben il 96% del contenuto complessivo del cosmo, ma non si sa ancora quasi niente della sua reale natura. La parte di universo che conosciamo meglio, perché è fatta di atomi come noi, è solo il 4% del totale.

Attualmente, l'ipotesi standard in cosmologia è che la parte "invisibile" dell'universo sia, a sua volta, di almeno due tipi. Un tipo abbastanza simile alla materia ordinaria, se non per il fatto che non è composta di atomi ma di qualche particella ancora sconosciuta, più pesante dei protoni e dei neutroni, e che non interagisce con il resto della materia, se non attraverso la forza di gravità. Questa è quella che i fisici e i cosmologi chiamano comunemente "materia oscura". L'esistenza di questo tipo di materia è necessaria per spiegare una serie di osservazioni cosmologiche, essenzialmente legate alla formazione di strutture nell'universo. C'è poi un altro tipo di componente oscura, la cui esistenza è stata ipotizzata per la prima volta da Einstein nel 1917, ma che è stata introdotta nei modelli cosmologici solo di recente per spiegare il fatto che l'universo sta accelerando la sua espansione. E' quella che viene chiamata "energia oscura": una "sostanza" che, contrariamente a qualsiasi tipo di materia o energia nota, produce una specie di forza di gravità repulsiva. Il rapporto tra la quantità di materia e di energia oscura nell'universo sembra essere all'incirca di 1 a 3, ma non c'è una teoria fisica fondamentale che riesca a interpretare questo dato osservativo.

Nel nostro lavoro, ci siamo discostati un po' dal paradigma consueto, assumendo che invece esista un solo tipo di componente oscura, che spieghi l'accelerazione attuale dell'universo ma si comporti anche in maniera simile alla materia. La chiave sta nel fatto che la materia oscura e l'energia oscura agiscono in fasi diverse dell'evoluzione cosmica: la formazione delle strutture, guidata dall'attrazione gravitazionale della materia, avviene prima, e successivamente subentra l'effetto repulsivo dell'energia che fa accelerare l'espansione. Quindi, si può immaginare che esista un unico fluido con un tipo di evoluzione tale da farlo sembrare, in epoche diverse, materia oscura o energia repulsiva. Abbiamo provato a vedere come si confrontano le previsioni di questo modello con una serie di osservazioni cosmologiche, e abbiamo trovato che l'accordo è piuttosto buono, anche migliore di quello del modello standard (in cui ci sono due diverse componenti oscure). Ovviamente, ora dobbiamo continuare lo studio in modo più dettagliato, quindi il lavoro nei prossimi mesi non mancherà!

18 febbraio 2007

Blog e scienza, in Italia

Quando ho deciso di iniziare a tenere questo blog, qualche mese fa, mi sono guardato un po' intorno per capire quanti fossero, in Italia, i blog a tema scientifico, o tenuti da scienziati. Nel nostro paese i blog non sono certo un fenomeno nuovo, ma la maggior parte tratta di politica, di attualità, di letteratura, di hi-tech. Insomma, alla fine non sono riuscito a trovare granché. I blog scientifici in lingua inglese sono invece una realtà interessante da diversi anni: non hanno certo il numero di visitatori dei blog politici più importanti ma hanno comunque un livello di attività e partecipazione alle discussioni piuttosto alto. Inoltre, i blog più popolari sono tenuti da scienziati, che raccontano la scienza dall'interno in modo diretto, senza intermediari (come Sean Carroll, su Cosmic Variance). Sebbene con ritardo, è possibile che le cose da noi stiano cambiando. A Le Scienze hanno da poco inaugurato tre nuovi blog, tenuti da Marco Cattaneo, Claudia di Giorgio e Giovanni Spataro. Su D di Repubblica, c'è Sylvie Coyaud (per la verità, lei blogga da parecchio tempo). Paolo Amoroso, già segnalato qui tempo fa, collabora tra l'altro con il planetario di Milano e nel suo blog racconta le sue esperienze di divulgazione dell'astronomia. Adesso, ho scoperto (in ritardo) il blog di Andrea Capocci, ospitato da Galileo, ed è probabile che me ne sfuggano altri. Bene: più siamo e meglio è.

15 febbraio 2007

Come Planck guarderà il cielo

Tornando a cose più serie, il mio collega Andrew Jaffe discute con il mio collega Ned Wright della strategia di osservazione del satellite Planck. (Per chi pensa che i blog non si possano usare anche per scopi scientifici.)

Ditemi che sto sognando...

Ieri, su Nature (!)

14 febbraio 2007

Eye in the sky

Ok, mi arrendo. Visto che ormai tutti i blog del mondo lo hanno già fatto, e in questi giorni non riesco a trovare il tempo per scrivere qualcosa di elaborato, la posto anch'io:


Quest'occhio che ci guarda dal cielo è la Nebulosa Elica (Helix Nebula). L'immagine, nell'infrarosso, è stata ottenuta dal telescopio spaziale Spitzer. Si tratta di una nebulosa planetaria relativamente vicina (circa 700 anni luce da noi). Si è formata quando una stella simile al Sole è morta, diventando prima una gigante rossa che si è espansa fino a inghiottire i pianeti più interni, poi una nana bianca: un oggetto denso e compatto che si trova al centro dell'immagine, all'interno del bagliore rosso. La polvere verde nella parte esterna è probabilmente composta dai detriti prodotti alla morte della stella, quando i pianeti più esterni, gli asteroidi e le comete, che inizialmente ruotavano placidamente in orbite stabili, hanno cominciato a muoversi impazziti collidendo tra loro e frantumandosi a vicenda. Un destino simile attende anche il nostro Sole, tra qualche miliardo di anni.

8 febbraio 2007

La discesa di Huygens su Titano

Oggi, Marcello Fulchignoni ha tenuto un seminario sull'esplorazione di Saturno con la sonda Cassini-Huygens, e ha mostrato, tra le altre cose, questa spettacolare animazione (ottenuta da immagini reali) della discesa di Huygens su Titano:

Sul sito della Nasa c'è una versione a risoluzione maggiore (il file è di oltre 90 Mb).

6 febbraio 2007

Primo Levi e il linguaggio della scienza

Una delle mie fissazioni è che c'è, nel mondo, uno strato di bellezza che solo la scienza riesce a portare pienamente alla luce: e che se non si riesce a trasmettere un po' di questa bellezza a tutti, la conoscenza scientifica in sé ne esce un po' diminuita.

Per questo è bello quando un grande scrittore sa scrivere di scienza. Sono pochi, soprattutto in Italia, imbevuta di cultura umanistica, quelli che hanno il coraggio e la formazione adeguata per avventurarsi in territori che sembrano troppo remoti dall'esperienza quotidiana per poterne fare buona letteratura. Ma quando qualcuno è all'altezza del compito, succedono miracoli. Uno in grado di tirare fuori grandi storie dai fatti scientifici era Italo Calvino. Un altro era Primo Levi, ed è strano dover scoprire qualcosa che ha scritto leggendolo tradotto in inglese. Il New Yorker pubblica un suo racconto in occasione dell'uscita di un volume che raccoglie racconti mai tradotti prima in inglese. Il racconto era contenuto originariamente nella raccolta "Lilìt e altri racconti" (non sono riuscito a capire se è ancora in stampa). L'inizio è folgorante (devo copiarlo in inglese, purtroppo, non avendo la versione originale):
Once upon a time, somewhere in the universe very far from here, lived a peaceful star, which moved peacefully in the immensity of the sky, surrounded by a crowd of peaceful planets about which we have not a thing to report. This star was very big and very hot, and its weight was enormous: and here a reporter’s difficulties begin. We have written “very far,” “big,” “hot,” “enormous”: Australia is very far, an elephant is big and a house is bigger, this morning I had a hot bath, Everest is enormous. It’s clear that something in our lexicon isn’t working.
Qualche giorno fa parlavo della difficoltà di visualizzare dimensioni lontane dall'esperienza ordinaria. Ancora più difficile darne un'idea attraverso il linguaggio, perché
It’s a language that was born with us, suitable for describing objects more or less as large and as long-lasting as we are; it has our dimensions, it’s human. It doesn’t go beyond what our senses tell us.
E ancora:
Not even with superlatives does one get very far: how many times as high as a high tower is a very high tower? Nor can we hope for help from disguised superlatives, like “immense,” “colossal,” “extraordinary”: to relate the things that we want to relate here, these adjectives are hopelessly unsuitable, because the star we started from was ten times as big as our sun, and the sun is “many” times as big and heavy as our Earth, whose size so overwhelms our own dimensions that we can represent it only with a violent effort of the imagination. There is, of course, the slim and elegant language of numbers, the alphabet of the powers of ten, but then this would not be a story in the sense in which it wants to be a story; that is, a fable that awakens echoes, and in which each of us can perceive distant reflections of himself and of the human race.
E allora, come fare? Ci vuole uno grande scrittore, come Primo Levi appunto, per colmare il baratro tra il linguaggio di tutti i giorni e quello della scienza, e per dare alla nostra fantasia la possibilità di catturare qualche frammento del mondo reale.

5 febbraio 2007

Planck

Una segnalazione velocissima: la stampa inglese comincia a parlare di Planck, la missione spaziale dell'ESA per lo studio della radiazione cosmica di fondo, che partirà nel 2008. Qui l'articolo su BBC News (con ampio spazio per George Smoot) e qui quello su the Observer. Mi riprometto di parlare di Planck in maggiore dettaglio appena avrò più tempo (ma il motivo per cui ho poco tempo è che devo lavorare per Planck...).

2 febbraio 2007

Punti di vista

Molte persone non hanno un'idea chiara delle dimensioni in gioco quando si parla di astronomia. Visualizzare diverse scale di grandezza è in realtà difficile per tutti, anche per che chi, come i cosmologi, ha a che fare tutti i giorni con distanze tipo 100 Megaparsec (100 milioni di parsec, ovvero circa 300 milioni di anni luce). Per chi non si occupa di queste cose per professione deve essere ancora più complicato. Allora, pensavo che sarebbe utile cominciare una serie di post sull'abc delle grandezze astronomiche.

Partiamo dal cortile di casa nostra: il Sistema Solare, e le dimensioni dei vari pianeti. Sembra roba familiare, no? Eppure vedrete che è incredibile quanto cambino le prospettive. (Le immagini che mostrerò girano su internet da un po' di tempo, e non so da dove siano partite in origine).

Allora: cominciamo con i pianeti rocciosi: la Terra (il nostro puntino blu chiaro), Venere, Marte, Mercurio (e Plutone, che come saprete è stato declassato e non è più considerato un pianeta). Mettiamoli uno vicino all'altro: le distanze fra i pianeti non sono in scala, ma la dimensione dei pianeti sì. Ecco:


Ok, adesso è il momento di allargare un po' il punto di vista. Includiamo nell'immagine gli altri pianeti del sistema solare. Ne mancano quattro: Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Sono tutti pianeti gassosi, e ora capirete perché non c'erano nell'immagine di sopra: non c'era abbastanza spazio. Facciamoli entrare:

Adesso ci siamo tutti, e cominciamo a renderci conto che viviamo su un sassolino. Però, se cominciate a sentirvi un po' stretti, tenete a mente che manca ancora il pezzo grosso. Vi presento frate Sole:

Dov'è finita la Terra? È un puntino, appunto: uno di quelli in basso a destra. Beh, questo per il nostro Sistema Solare. In realtà dobbiamo tenere presente che il Sole stesso è un po' una mezza tacca quando si esce dal nostro cortile. Ma di questo parleremo un'altra volta.

Nel frattempo, qui c'è un link dove potete confrontare interattivamente le dimensioni della Terra con quelle degli altri pianeti del Sistema Solare (oppure di due qualsiasi pianeti fra loro).

1 febbraio 2007

ELT e l'accelerazione dell'universo

Ieri qui c'è stato un bel seminario di Roberto Gilmozzi (dell'ESO) sul progetto europeo di Extremely Large Telescope (ELT). Questi telescopi di nuova generazione sono impressionanti. Ottica adattiva, diametro tra i 30 e i 60 metri (!), fanno sembrare il Very Large Telescope un giocattolo in confronto. Ci si può fare, ovviamente, un bel po' di scienza interessante, per esempio ricerca di pianeti extrasolari di tipo terrestre e, soprattutto, studi sull'energia oscura (la misteriosa componente che fa accelerare l'espansione dell'universo).

A questo proposito, la cosa che ho trovato più interessante è la prospettiva di misurare la variazione della velocità di espansione dell'universo. Come è noto, quando osserviamo un oggetto molto distante (una galassia, un quasar), la luce dell'oggetto ci appare spostata verso il rosso, cioè verso lunghezze d'onda maggiori (perché l'espansione dell'universo "stira" la lunghezza d'onda nel tempo che la luce impiega a raggiungerci). Ma la velocità di espansione dell'universo non resta costante nel tempo: l'espansione può decelerare o accelerare (oggi sappiamo che sta accelerando, appunto). Ora: sembra una cosa impossibile, ma osservando un oggetto per un periodo abbastanza lungo, possiamo effettivamente accorgerci del cambiamento della velocità di espansione, misurando come varia lo spostamento verso il rosso. Tipicamente, ci si aspetta una variazione di velocità apparente dell'oggetto tra i 2 e i 20 cm/s su un periodo di osservazione di circa 10 anni. È una misura di enorme difficoltà, ovviamente, ma sarebbe alla portata di ELT: questo permetterebbe per la prima volta di osservare l'accelerazione direttamente, mentre avviene, il che dovrebbe permettere di capire qualcosa in più su cosa la stia causando.