8 dicembre 2010

La forumizzazione della ricerca

È una questione che meriterebbe un'analisi approfondita, ma intanto butto giù qualche riga per chiarirmi le idee, e magari se ne riparla. Sta succedendo una cosa grossa (volendo esagerare qualcuno direbbe epocale) su cui ho sensazioni contrastanti. Da un lato c'è questa cosa molto bella che le discussioni scientifiche stanno uscendo dalle porte chiuse dei congressi internazionali, o delle coffee room degli istituti di ricerca, per finire sul web. Oggi tanti appassionati hanno la possibilità straordinaria di seguire in diretta il processo tortuoso che porta da un'idea allo stato embrionale a una conclusione scientifica consolidata - un processo appassionante, spesso fatto di dibattiti accesi che un tempo erano confinati alle corrispondenze private, di direzioni sbagliate e di passi falsi, di inimicizie e rivalità nate intorno a un'ipotesi e propagatesi alle persone coinvolte, ostilità talmente forti che io stento a trovarne di simili in altri aspetti dell'esistenza. C'è gente che non si è parlata più per tutta la vita per una questione di priorità su una scoperta, o perché avversava ferocemente l'ipotesi del collega.

Se non si era un membro della comunità, tutto questo una volta lo si imparava dopo qualche anno, dai libri di storia della scienza, se c'era qualcuno talmente bravo e addentro alle faccende da raccontarle per bene. Prima si lasciava posare la polvere, poi si ricostruiva il modo in cui erano andate le cose. Adesso quello che accade lo vedono tutti, in diretta. Esce un lavoro su Science (rivista che giornalisticamente è inevitabilmente accompagnata dall'aggettivo "prestigiosa"), e dopo appena un giorno c'è già il tiro al piccione sui blog scientifici mondiali. Attenzione, qui non parliamo di un preprint messo su arXiv senza alcun controllo, ma di uno studio che ha già passato il vaglio degli editor e dei revisori di una delle maggiori riviste mondiali. Possono essersi sbagliati? Certamente. Sbagliano tutti: sbagliano i ricercatori, sbagliano gli editor delle riviste, sbaglia anche il comitato del Nobel, certe volte. Non ci sono santuari inviolabili ed è bello che la gente piano piano lo capisca.

Qual è il problema, allora? Il problema che vedo io, l'altra faccia della medaglia, è che non sono del tutto certo che questo anelito di trasparenza sia adeguato alla natura della ricerca scientifica. La dico brutale brutale. La scienza non è democratica. E non è neanche basata sul dibattito e sul compromesso. La verità scientifica è provvisoria, criticabile e revisionabile per sua natura, ma non cade nel baricentro di punti di vista diversi. Sta di qua o di là, non è il risultato di mediazioni. Questa è un'epoca in cui tutti pensano che ogni opinione abbia lo stesso peso, ma se si applica questo modo di pensare alla ricerca si rischia di sbattere la faccia contro un muro. I pareri che contano sono quelli degli esperti veri, e anche quelli servono soltanto da guida, perché comunque alla fine contano le prove sperimentali, obiettive e riproducibili. Succede allora che la NASA si difenda dalle critiche dicendo che non può mettersi a rispondere a tutti i forum e tutti i blog che danno addosso allo studio, e che il posto giusto per discutere queste cose sono le riviste scientifiche e i laboratori. E io penso che, nonostante il modo furbastro e criticabile con cui hanno creato aspettativa intorno alla notizia (ma questo richiederebbe un discorso a parte) e nonostante il fatto che nel caso specifico i blog che hanno criticato lo studio più ferocemente siano tenuti da professori di microbiologia, alla NASA abbiano ragione da vendere. E che accusarli di anti-illuminismo sia una grossa scemenza. C'è un processo di validazione delle ipotesi, e chiunque fa parte del mondo accademico lo conosce e sa come usarlo. Se pensa di avere ragione lo dimostri in quel modo.

Perché guardate che il rischio della forumizzazione della ricerca scientifica è che si cada nel modello Voyager: dare voce a tutti i pareri mettendoli sullo stesso piano e lasciare la gente libera di farsi l'idea che vuole. Che è la cosa più disonesta che si possa fare.
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