Se non ho ancora scritto nulla a proposito della nuova mappa del cielo nelle microonde fatta da Planck (e apparsa un po' ovunque tra ieri e oggi) è stato un po' per mancanza di tempo, mancanza dovuta tra l'altro proprio all'incombere di uno dei (molti) meeting della collaborazione. Ma anche perché — come succede quando si è troppo vicini a qualcosa — di quell'immagine vedo soprattutto i limiti. Sono troppo consapevole di quanto lavoro ci sia ancora da fare prima che Planck tiri fuori tutto il suo potenziale, e di quanto quel potenziale sia molto superiore a una pur bellissima immagine. (E poi ho paura di ripetermi, visto che qui di Planck ho parlato molte altre volte, e sicuramente parlerò ancora in futuro).
Comunque, eccola qua (cliccate per ingradirla).
Le grandi novità sono due. Intanto, per la prima volta abbiamo un'osservazione dell'intera volta celeste (che sarebbe una sfera, ma diventa un ovale quando la proiettiamo su un piano, esattamente come nei planisferi terrestri). Poi, dietro la striscia bluastra che occupa gran parte dell'immagine (dovuta all'emissione della nostra galassia, la Via Lattea, o meglio della polvere e del gas che si trovano nel disco) cominciamo a intravedere una componente rossiccia (i colori, naturalmente, sono completamente arbitrari). È la radiazione cosmica di fondo, il residuo del big bang che pervade tutto l'universo; un segnale che ci arriva da un'epoca distante quasi 14 miliardi di anni. Quella è la parte della mappa che per un cosmologo contiene le informazioni più importanti. Una delle sfide nell'analisi di questi dati è proprio estrarre questa componente dal resto dell'immagine (fortunatamente, ci sono canali dello strumento molto meno contaminati dal segnale galattico rispetto a quello che vediamo qui).
Se questa immagine preliminare ha avuto le prime pagine dei quotidiani, figuratevi cosa succederà quando verranno annunciati i risultati completi.
(Immagine © ESA, HFI and LFI consortia)