15 luglio 2009

La fine del tempo

Come se non fosse bastata la lettura de I misteri del tempo, subito dopo mi sono avventurato in La fine del tempo, di Julian Barbour. Ora, se il libro di Davies era un tentativo tutto sommato onesto di divulgazione sul tema del tempo (secondo me non ben riuscito, ma non voglio ripetermi), con il libro di Barbour siamo dalle parti dell'oggetto non identificato. Barbour è convinto che lo scorrere del tempo sia solo un'illusione e che la fisica andrebbe rifondata, arrivando a una descrizione atemporale delle leggi di natura; l'idea, mi pare di capire, è che il mondo sarebbe in realtà cristallizzato in una struttura fissa, e che sarebbe solo la nostra coscienza a organizzare le percezioni creando un'illusione di mutamento e movimento. Fin qui, niente di male: in fondo la scienza produce di frequente un superamento delle impressioni immediate, in favore di concetti meno intuitivi ma più rigorosi. Può anche darsi che il tempo non esista. Purtroppo, dal libro di Barbour risulta secondo me impossibile trarre qualsiasi conclusione. Dopo oltre trecento pagine, faticosissime non perché troppo tecniche ma, al contrario, perché troppo discorsive e qualitative, piene di analogie di cui è difficile verificare la validità, Barbour candidamente ammette:
"È vero, non posso presentare prove matematiche concrete a sostegno della mia idea, ma spero che a questo punto il lettore si sia persuaso che almeno gli argomenti a favore di un universo atemporale sono validi"

Il ricorso all'intuizione e ad argomenti euristici per indirizzare la ricerca non è uno scandalo: lo stesso Einstein ne fece largo uso, ma poi passò anni a scontrarsi con i dettagli matematici. Chiaramente, Barbour non è uno di quei mattacchioni che ti intasano la casella di posta vantandosi di aver risolto l'unificazione delle forze o di aver dimostrato che Einstein aveva torto. È uno che sa di cosa parla e, nonostante non abbia una posizione accademica convenzionale (e qui bisognerebbe aprire un discorso sulla leggenda del "ricercatore indipendente", ma sarà per un'altra volta), vanta frequentazioni e corrispondenze con scienziati di grosso calibro, come Lee Smolin o Roger Penrose. Magari un giorno il punto di vista atemporale si rivelerà corretto. E però, una volta le teorie si divulgavano dopo essere state accettate, non prima. Per essere uno convinto che il tempo non esiste, forse Barbour ha avuto un po' troppa fretta.
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