Sì, vabbene, Galileo il padre del metodo scientifico, Galileo il (quasi) martire della ragione, Galileo il campione dell'anti-oscurantismo. Ma io non riesco a evitare di pensare che, in fondo, quello che di tragico e orribile gli è capitato (l'inquisizione, il processo, l'abiuro-maledico-e-detesto, il confino) gli sia capitato anche perché il pisano era un appassionato di gadget, un patito delle nuove tecnologie. In poche parole, come diremmo oggi: un geek.
Dopotutto, lui se ne stava a Padova a insegnare matematica e a fare esperimenti di meccanica, e di impelagarsi in dispute astruse su cosa girasse intorno a cosa non aveva poi tanta voglia (era già abbastanza impegnato a ridicolizzare i colleghi che risolvevano ogni dubbio andando a scartabellare le opere di Aristotele). Ma mentre si divertiva con bilancette, piani inclinati, pendoli e altre diavolerie, venne a sapere che in Olanda un occhialaio aveva infilato un paio di lenti dentro un tubo e bingo!, aveva acquistato la supervista. Galileo non era uno da farsi scappare l'ultima novità in fatto di tecnologie. Si chiuse in laboratorio come Steve Jobs nel garage e, tempo qualche mese, con un po' di sano reverse-engineering, si costruì da solo la sua replica del cannocchiale. Era il 1609, giusto giusto quattro secoli fa.
La cosa ebbe conseguenze. Intanto, Galileo si beccò un aumento e un posto fisso all'università (il governo veneto aveva molto apprezzato i possibili impieghi militari della "sua" invenzione). Ma il botto vero ci fu quando Galileo, invece di limitarsi a guardare al livello dell'orizzonte, pensò di alzare il cannocchiale verso il cielo. Oggi può sembrarci assurdo che un accrocco potente quanto un giocattolo da bancarella possa aver aperto la strada all'astronomia moderna e cambiato radicalmente la posizione dell'uomo nell'universo. Eppure.
Nel giro di un annetto Galileo si accorge che la Luna è disseminata di montagne e crateri, capisce che la Via Lattea è fatta di stelle, e osserva per la prima volta quattro satelliti di Giove. Queste cose le racconta di corsa, praticamente in diretta, nel "Sidereus Nuncius". Leggetelo: è emozionante. È il mondo che riacquista i colori in Pleasantville. È Neo che esce da Matrix. È Bowman che dice "Mio Dio, è pieno di stelle!". È un uomo cieco che acquista la vista.
Volente o nolente, Galileo lo smanettone è diventato un astronomo. Da quel momento, non si ferma più. Osserva le fasi di Venere e di Mercurio, gli anelli di Saturno, scopre le macchie solari, e insomma fa quello che ogni persona sensata fa quando gli danno la possibilità di guardare più lontano degli altri: guarda. E guardando, capisce che aveva ragione Copernico.
Poi ci sono quelli che, quando hanno le fette di salame sugli occhi, invece di toglierle ci mettono sopra anche il pane. Per convincerli a usare i propri sensi invece di seguire l'autorità, Galileo si illude di avere due armi infallibili: la sua capacità retorica e le maree. Ora, mentre sulla prima c'è poco da dire (se pensate che Michele Serra ci sappia fare non avete mai letto Galileo) sulla seconda oggi sappiamo che le speranze erano mal riposte. In poche parole, la prova inconfutabile che Galileo pensava di aver trovato per imporre la visione copernicana sarebbe questa: la Terra si muove intorno al Sole, l'acqua dei mari sciaborda, ed ecco spiegate le maree. Galileo è talmente sicuro del fatto suo che il libro con cui comunica al mondo le ragioni del nuovo ordine celeste lo scrive in italiano, invece che in latino come usava. Lo intitola, sciaguratamente, "Del flusso e del riflusso". Per fortuna, in un'epoca in cui gli editor ancora non esistono, ci pensa l'inquisizione a imporre un titolo più azzeccato: "Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano". Maree a parte, il Dialogo è non solo una delle opere scientifiche più importanti di tutti i tempi ma, secondo me, uno dei più bei libri mai scritti in lingua italiana.
Il resto, dai mastini di Bellarmino all'eppursimuove, lo conoscete.