21 giugno 2008

Eureka!

Magari siete rimasti con la curiosità di sapere chi ha intuito per primo il vero motivo per cui il cielo di notte è buio. Ve lo dico subito, così se volete potete anche smettere di leggere. Non è stato uno scienziato. È stato Edgar Allan Poe.

Nel 1848, un anno prima di morire, Poe scrive uno strano libro intitolato Eureka.  Strano nella forma, perché è un "poema in prosa", ma soprattutto strano nella sostanza. Con Eureka, infatti, Poe vuole costruire una cosmologia, ovvero:
"parlare della fisica, metafisica e matematica dell'universo spirituale e materiale; della sua essenza, della sua origine, della sua creazione, della sua condizione presente e del suo destino."
Si capisce già dalle prime pagine che Poe prende terribilmente sul serio quella che avrebbe finito per essere la sua ultima opera, e che ritiene di aver avuto un'illuminazione che lo ha portato alla soluzione delle questioni ultime. Pur riconoscendo che i risultati descritti in Eureka non sono frutto di indagini scientifiche, ma semplici intuizioni artistico-spirituali, Poe afferma con una certa enfasi che essi debbano comunque essere considerati veri.

Nel corso degli anni, molti si sono fatti affascinare dal fatto che alcune delle idee contenute in Eureka sembrerebbero aver anticipato l'idea moderna di universo in evoluzione descritta dal modello del big bang e ormai provata dalle osservazioni. Si parla di un universo che ha origine da un'unità primordiale che evolve verso la complessità, e c'è addirittura quella che oggi potremmo ritenere la previsione dell'espansione dell'universo. In realtà, però, accanto a qualche intuizione apparentemente corretta, Eureka ne contiene molte altre completamente sballate. E poi, ovviamente, manca qualunque giustificazione logica o quantitativa per le idee proposte. Ma come accade con tutte le speculazioni fantasiose — soprattutto se ammantate da un certo mistero — a posteriori può capitare di trovarci delle verità, anche se in modo del tutto accidentale.

Resta il fatto che l'idea sostenuta da Poe — cioè che l'universo potesse avere un'età finita — non era affatto popolare tra gli studiosi dell'epoca. Per questo, è andata a finire che lo scrittore risulta essere il primo ad aver azzardato qualcosa che somiglia molto alla soluzione corretta del paradosso di Olbers (ovvero del fatto che il cielo notturno è buio). Ecco qui:
"Se la successione delle stelle fosse infinita, lo sfondo del cielo avrebbe una luminosità uniforme, come quella della nostra Galassia - perché non potrebbe esserci assolutamente nessun punto, in tutto lo sfondo, privo di una stella. Il solo modo, perciò, in cui potremmo comprendere i vuoti osservati dai nostri telescopi in tutte le direzioni, sarebbe di supporre che la distanza dello sfondo è così grande che nessun raggio luminoso possa aver ancora avuto il tempo di raggiungerci."
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