26 agosto 2011

Capire il tempo (o almeno, provarci)

Uno dei privilegi dell’essere membro del Foundational Questions Institute è quello di essere invitato ogni anno a una conferenza che affronta qualche grande questione fondamentale. Quest'anno per me è la prima volta, e mi è andata di lusso: il tema, infatti, è nientemeno che il tempo (quella cosa che si misura con gli orologi). Ci saranno fisici, cosmologi, filosofi, neuroscienziati, ecc. che per qualche giorno dibatteranno sul motivo per cui ricordiamo il passato e non il futuro, sul perché il tempo scorra solo in una direzione, sul suo ruolo in fisica e in biologia, e su altre questioncine del genere. Sullo sfondo, la questione più fondamentale di tutte, ovvero se in fondo il tempo esista veramente. (Lo so, detto così sembra Woody Allen, ma insomma.) C’è gente come Paul Davies, Alan Guth, Julian Barbour - tanto per fare i nomi più noti - e insomma la cosa si preannuncia interessante. Connessione permettendo, nei prossimi giorni ci potrebbe anche scappare qualche post. (L’ho detto che una parte della conferenza si fa a bordo di una nave da esplorazione del National Geographic?)

17 agosto 2011

Cose alla radio

Nella scorsa puntata di Odissea 2011, su Radio24, si è parlato di ricerca di vita nell'universo, con contributi del titolare. Il podcast è qui.

12 agosto 2011

Guardavamo anche le stelle cadenti

"Era meraviglioso vivere su una zattera. Avevamo tutto quanto il cielo, lassù, scintillante di stelle, e ci mettevamo a guardarle sdraiati a terra, e discutevamo se le aveva fatte qualcuno o se erano venute fuori così, da sole, e secondo Jim le aveva fatte qualcuno, ma secondo me erano venute fuori da sole, perché pensavo che ci voleva troppo tempo per farne così tante. Jim allora diceva che era stata la luna a farle, e beh, la cosa mi sembrava abbastanza ragionevole, così non ribattevo niente, perché una volta avevo visto una rana fare talmente tante uova che naturalmente poteva essere andata a quel modo. Guardavamo anche le stelle cadenti, per vedere dove finivano. Per Jim erano stelle venute male che venivano buttate via dal nido."

[Mark Twain, Le avventure di Huckleberry Finn, traduzione di Giuseppe Culicchia]

8 agosto 2011

Letture da ombrellone

Nel numero di Agosto de Le Scienze (attualmente in edicola) c'è un mio articolo intitolato "I limiti della cosmologia". È la versione italiana di un saggio con cui l'anno scorso avevo vinto il terzo premio in un concorso organizzato dal Foundational Questions Institute.

4 agosto 2011

Collisioni cosmiche

Immagine tratta da Feeney et al., arXiv:1012.1995v3
Il nostro universo è un bel flipper: si scontrano tra loro i pianeti, le stelle, le galassie e persino gli ammassi di galassie. Ma lo scontro tra universi sembrerebbe un'esclusiva della fantascienza. Eppure, se davvero il nostro universo è solo uno tra i tanti che popolano un più vasto multiverso, qualche tipo di collisione tra universi potrebbe non essere impossibile. E uno scontro del genere qualche traccia dovrebbe lasciarla: si tratta di trovarla.

Alcuni miei colleghi ci hanno provato, e hanno appena pubblicato due articoli paralleli (ma nello stesso universo, ah ah) per spiegare quello che hanno trovato (gli articoli sono questo, più breve, apparso su Physical Review Letters, e questo, che si dilunga in dettaglio sui metodi usati). Normalmente, le diverse regioni che popolano il multiverso sono ritenute talmente vaste che il loro "confine" dovrebbe cadere fuori dall'orizzonte cosmologico (ovvero, la porzione di universo che siamo in grado di osservare). Questo è il motivo per cui molti cosmologi (tra cui il sottoscritto) sono a disagio con l'idea del multiverso: sembrerebbe un'ipotesi impossibile da mettere alla prova scientificamente. Ma esistono modelli specifici in cui la "collisione" tra diverse regioni potrebbe dare luogo a manifestazioni osservabili, sotto forma di strutture circolari nella radiazione cosmica di fondo. Nella figura in alto c'è una simulazione di quello che si potrebbe osservare: in alto a sinistra, la traccia isolata della collisione, in alto a destra la stessa traccia come apparirebbe in una mappa della radiazione di fondo.

Ovviamente, vale sempre il discorso già fatto per la ricerca di tracce analoghe a queste: si tratta di identificare strutture regolari in una trama di macchie casuali, ed è fin troppo facile convincersi di vedere proprio quello che ci si aspetta. Ma in questo caso l'analisi è stata fatta con tutte le cautele del caso. (Al mio giudizio positivo sull'analisi non è estraneo il fatto che essa si basi su una tecnica di analisi delle immagini cosmologiche sulla cui genesi ho una qualche corresponsabilità. Anzi, per la verità alcune delle strutture identificate in questo studio le avevamo già trovate in questo lavoro, che però non tentava di dare una spiegazione in termini di questo o quel particolare modello teorico.)

Il risultato di questo primo tentativo, applicato ai dati del satellite WMAP, sembra negativo: gli indizi non sono abbastanza significativi per dire di aver trovato le prove dell'esistenza di altri universi. Il che porta comunque a escludere certe classi di modelli; e fa sperare che con dati migliori, come quelli che sta raccogliendo attualmente Planck, si possano fare ulteriori progressi.

Continuo a rimanere scettico sulla possibilità di mettere alla prova l'ipotesi del multiverso. Ma se c'è qualche speranza, direi che è proprio in questa direzione.

3 agosto 2011

Ricette per un satellite

La teoria più accreditata per la formazione della Luna è che essa sia il risultato dell'impatto di un planetoide delle dimensioni di Marte con la Terra primordiale: il materiale espulso nell'urto sarebbe rimasto in orbita, solidificandosi e formando il nostro satellite. Che ci voglia un frontale tra due pianeti per fare una luna è già abbastanza spettacolare, ma ora, a quanto pare, c'è chi pensa che ci siano volute anche due lune per fare una Luna. Secondo un articolo pubblicato su Nature, per alcuni milioni di anni dopo il primo scontro, la Terra potrebbe aver avuto due satelliti: la seconda luna sarebbe stata più piccolina, con una massa di circa un terzo di quella che conosciamo. A un certo punto, le forze gravitazionali della Terra e del Sole avrebbero reso instabili le orbite, portando la luna piccola a spiaccicarsi come una frittella sulla superficie della luna grande. La cosa, secondo gli autori della simulazione, spiegherebbe egregiamente le differenze di composizione tra i due lati della Luna, quello rivolto verso la Terra e l'altro. Naturalmente ci sono anche altre ipotesi per spiegare lo stesso fatto, e bisognerà vedere chi la spunterà. Però l'idea di una giovane Terra con due lune nel cielo è troppo bella per non fare un po' il tifo per lei.

1 agosto 2011

Nessuno tocchi Marty McFly

Nei giorni scorsi, è stata ripresa da più parti la notizia secondo cui un ricercatore di Hong Kong avrebbe dimostrato l'impossibilità dei viaggi nel tempo. Ora, per quanti abbiano appreso il fatto con delusione (il pensiero corre soprattutto a Roberto Giacobbo), vorrei provare a spendere qualche parola di conforto. La cosa, infatti, è un po' più complicata.

Quello che il professor Shengwang Du ha dimostrato con il suo esperimento (l'articolo che racconta il risultato è apparso su Physical Review Letters) è che un singolo fotone non può superare la velocità della luce. Dice: bella scoperta. Be', lo è, in effetti, per ragioni che sono piuttosto tecniche e che non mi azzardo a spiegare in poche righe qui (non è un campo di ricerca semplicissimo, ma soprattutto non è il mio campo di ricerca). Ci sono di mezzo, tra le altre cose, sottigliezze legate alla definizione della velocità di un'onda (il fotone è sia particella che onda, come si sa).

Tuttavia, l'impossibilità di trasmettere informazione a velocità maggiori di quella della luce è solo uno dei limiti posti ai viaggi nel tempo: salvaguarda i rapporti di causa-effetto e impedisce che qualcosa accada prima della sua causa. Restano, a livello teorico, altre possibilità. Se si passa dalla relatività ristretta (che tratta solo moti a velocità costante) alla relatività generale (che tiene conto di moti accelerati o della presenza della gravità) si possono trovare soluzioni compatibili con la possibilità di viaggiare nel tempo o di trasmettere informazioni nel passato, senza superare mai la velocità della luce nel vuoto. (I lettori più fedeli e antichi di questo blog forse ricorderanno una mini-serie di post sui viaggi nel tempo, in cui tra l'altro accennavo a una di queste soluzioni.) Questo non significa che i viaggi nel tempo siano realizzabili, per carità (salvo che al cinema, voglio dire); significa, però, che l'esperimento con la velocità del fotone elimina solo la possibilità più ovvia.

In effetti, il comunicato stampa dell'università di Hong Kong menziona solo di passaggio i viaggi nel tempo, e non afferma mai che il risultato di Shengwang Du abbia escluso una volta per tutte la loro fattibilità. Il resto è stato aggiunto da chi ha ripreso la notizia, e il motivo si può comprendere facilmente: era l'unico modo per attirare l'attenzione su un esperimento piuttosto ostico.