12 ottobre 2010
Sul confine
Ok. Ci è voluto un po' (una stagione e mezza, più o meno), ma alla fine mi sono fatto prendere da Fringe. All'inizio la formula mi sembrava un po' scontata, le puntate erano costruite col sistema del procedural drama alla CSI — che non mi ha mai entusiasmato — e mi mancavano la serialità estrema, gli intrecci complessi e il cast ricco di altre serie come Lost. E la puntata pilota, diciamolo, era piuttosto debole. Ma piano piano il tutto acquista una sua identità, i sottoplot si organizzano in una trama strutturata, e soprattutto escono fuori le storie e i caratteri dei personaggi. Merito soprattutto di John Noble, attore finora semisconosciuto, che riesce miracolosamente a rendere sopportabile uno dei cliché più abusati, quello dello scienziato pazzo. Si finisce per affezionarsi a Walter Bishop, arruffato esemplare moderno della specie leonardesca, inerme e pericoloso allo stesso tempo. E ci si dimentica quasi della totale implausibilità di tutta la faccenda. Sì, perché questo dopotutto è un blog che parla di scienza, e mi sento in obbligo di dire chiaramente che sul piano puramente scientifico non c'è una sola cosa che abbia fondamento nei mirabolanti avvenimenti investigati dai nostri eroi, e nelle geniali trovate del dottor Bishop. E gli autori lo sanno, tanto che lo hanno dichiarato programmaticamente fin dal titolo: la fringe science, la scienza di confine, non è altro che un eufemismo, uno dei nomi della pseudoscienza. Ma finché si tratta di intrattenimento ben fatto (e non di frottole spacciate per divulgazione scientifica) io perdono tutto.