23 novembre 2009

Vite degli astronomi /9. Georges Lemaître (1894-1966)

A volte la storia è strana. Nel 1633 Galileo viene condannato come eretico davanti al tribunale del Sant'Uffizio, per aver sostenuto una teoria cosmologica "espressamente contraria alla Sacra Scrittura". Poco meno di tre secoli dopo, quando arriva il momento di formulare una nuovo modello cosmologico—un modello rivoluzionario che addirittura si azzarda a mettere il naso in una questione scomoda come l'origine dell'universo—a chi tocca il compito? A un prete.

Per la verità, prima ancora della filosofia tomista, Georges Lemaître ha studiato ingegneria, matematica e fisica. Appena ordinato sacerdote, lascia il Belgio per fare il giro dei migliori istituti scientifici dell'epoca. "Esistono due vie per arrivare alla verità. Io ho deciso di seguirle entrambe," dice Lemaître. Uno può discutere l'ipotesi di partenza (c'è chi pensa che ci sia una sola via, chi nessuna, chi infinite), ma è indubbio che il giovane prete fa le cose sul serio. Va a Cambridge a studiare con Eddington e Rutherford, si ferma un po' all'Harvard Observatory con Shapley per imparare l'astronomia, e finisce a fare un dottorato in fisica al MIT. Intanto, studia la teoria della relatività.

E proprio giocherellando con le equazioni di Einstein, Lemaître si accorge che, partendo da ipotesi minime (essenzialmente il presupposto copernicano che non esistano posizioni privilegiate nell'universo), si può costruire un modello matematico di tutto il cosmo. Un modello piuttosto strano, in cui lo spazio si espande continuamente. Ma, soprattutto, un modello in cui tutta la materia è concentrata in un unico punto all'origine dell'espansione: l'inizio di tutto. Lemaître prende la cosa molto sul serio, e prova a ipotizzare una causa fisica per la nascita dell'universo. Mette insieme (un po' approssimativamente) le nuove scoperte sulla radioattività e sui raggi cosmici, e immagina che l'energia che ha creato l'universo sia scaturita dalla frammentazione di un atomo primordiale.

"In principio, la scissione dell'atomo primordiale creò lo spazio e il tempo." La nuova versione della Genesi secondo Lemaître non fa scattare la macchina della Santa Inquisizione, ma è quasi eresia per la comunità scientifica. Nel 1927, Lemaître riesce ad avvicinare Einstein a un congresso, e gli espone le sue idee, condendole con metafore un po' ingenue di fuochi d'artificio e ceneri spente. Einstein lo sta a sentire un po' annoiato, e alla fine lo liquida sbrigativamente: "Giovanotto, i calcoli possono andare, ma il suo senso fisico è abominevole." Einstein non è l'unico a farsi beffe dell'universo in espansione di Lemaître. Persino il suo mentore, Sir Eddington, trova "raggelante" l'idea che l'universo abbia avuto origine dal nulla. Ma, due anni dopo, Hubble scopre che le galassie si allontanano tra loro, e il modello di Lemaître è l'unico in grado di spiegare la cosa. Nel 1933, esattamente tre secoli dopo la condanna di Galileo, Einstein riabilita l'eresia di Lemaître: "È la migliore spiegazione della creazione che io abbia mai sentito."

Evidentemente la pensa così anche papa Pio XII che, in un discorso del 1951, prova a interpretare il fiat lux biblico alla luce del nuovo modello cosmologico—mandando su tutte le furie Lemaître, che ha sempre badato a tenere ben separate scienza e religione, le due vie che ha scelto per arrivare alla verità. "Ho troppo rispetto per Dio per poterne fare un'ipotesi scientifica".

Poco prima di morire, Lemaître viene a sapere che due giovani radioastronomi hanno misurato il calore residuo del big bang. È la conferma che, seguendo la via impervia dei modelli matematici, delle osservazioni e degli esperimenti, il prete scienziato è davvero riuscito ad afferrare un frammento di verità.

Se anche l'altra via lo abbia portato da qualche parte, lo sa soltanto lui.
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