"Spedizione di soccorso" è un'antologia di racconti scritti da Arthur Clarke a cavallo fra gli anni '50 e '60 e messa insieme per Urania Collezione di dicembre. Leggendoli, si capisce perfettamente perché, in quegli anni, un regista di nome Stanley Kubrick, in cerca di una storia per un film incentrato sull'esplorazione dello spazio, si rivolse proprio a Clarke. Non so quanti altri abbiano scritto dello spazio meglio di Clarke. Per Clarke lo spazio non è un pretesto, la cornice per dare un tocco di "sense of wonder" a eventi che avrebbero potuto tranquillamente essere ambientati altrove: per Clarke lo spazio è il protagonista assoluto. Che siano i satelliti di Giove o gli anelli di Saturno, le nubi di Venere o la coda di una cometa, Clarke riesce a descriverli come se ci fosse stato davvero, e noi con lui.
E poi, si capisce un'altra cosa: si capisce come mai per noi, nati e cresciuti durante l'effimera "space era" degli anni '70, la fantascienza in fondo è ancora soprattutto quella cosa lì — quella con le navi spaziali e il buio fuori e gli omini con le tute che galleggiano privi di peso. Poi sono arrivati gli innesti neurali, le nanotecnologie, il biotech, il cyberpunk, la rete e i mondi virtuali. Ma noi eravamo ormai già troppo smaliziati per costruirci sopra una mitologia.