Taleb, che scrive in modo divertente (anche se parecchio gradasso), fa un lungo elenco di distorsioni a cui si rischia di andare incontro quando si interpretano dati socioeconomici. Si va dalla trappola del ragionamento induttivo, che fa immaginare una legge generale e inattaccabile laddove invece c'è solo una precaria regolarità, all'applicazione di strumenti statistici idealizzati, non adeguati alla complessità dei problemi da affrontare (come la famigerata curva a campana, per la quale Taleb nutre una vera e propria avversione). C'è poi il fatto cruciale che non possiamo prevedere gli andamenti sociali ed economici futuri se non sappiamo quali saranno le condizioni scientifiche e tecnologiche di contorno: e queste ultime, se potessimo prevederle fino in fondo, le avremmo già realizzate. Nessuno ha previsto il boom di internet, per dire, e anche la scienza fondamentale va spesso avanti grazie a salti imprevisti, a scoperte che hanno un'origine piuttosto casuale (come costruire un'antenna per telecomunicazioni e trovare l'eco del big bang). Sarà per questo che gli autori di fantascienza, per natura sensibili alle avvisaglie di mutamenti tecnologici, riescono spesso a vedere più lontano di umanisti e filosofi.
Alla lunga, Taleb si preoccupa forse un po' troppo di imporre la sua visione delle cose e si fa prendere la mano. Ma quello di non illuderci di sapere ciò che non sappiamo è un invito che dovremmo sempre tenere presente.