In un mondo in cui il futuro è già deciso, la vita è un infinito corridoio di stanze: ogni stanza viene illuminata al momento opportuno e la successiva è al buio, ma già pronta. Camminiamo da stanza a stanza, guardiamo quella illuminata, il presente, e poi andiamo avanti. Non conosciamo le stanze successive, ma sappiamo che non possiamo cambiarle. Siamo spettatori delle nostre vite.Normalmente non rileggo libri già letti. Mi sembrerebbe di usare male il tempo, già scarso, che posso dedicare alla lettura. E poi c’è sempre il rischio di avere brutte sorprese, scoprire che il libro è invecchiato male, o sono invecchiato male io. Ma ieri sera non riuscivo a decidere quale libro iniziare tra i tanti in attesa. E, un po’ per pigrizia, un po’ perché l’idea mi frullava in testa da qualche giorno, ne ho ripreso dallo scaffale uno che avevo letto una quindicina di anni fa, alla sua uscita, mentre mi stavo laureando. Si chiama "I sogni di Einstein". Lo pubblicava Guanda, non so se sia ancora in catalogo. Lo ha scritto Alan Lightman, che è un fisico del MIT, co-autore tra l’altro di un famigerato testo sui processi radiativi che gli studenti di astrofisica conoscono fin troppo bene. Lightman si è diviso per molto tempo tra il mestiere di scrittore e quello di scienziato, ha scritto su molte riviste non scientifiche, tra cui il New Yorker, e oggi insegna scrittura, sempre al MIT. “I sogni di Einstein” è strutturato come una serie di variazioni sul tema del tempo. Racconti brevi, fantasie che prendono forma nella mente di Einstein, a Berna, nel 1905, mentre lavora alla teoria della relatività. In ognuno, si mostra un mondo in cui il tempo scorre in modo diverso da quello a cui siamo abituati. Il risultato somiglia a certi racconti di Borges, o a “Le città invisibili” di Calvino. Ma con più poesia.
L’ho riletto tutto in una serata. È ancora più bello di come me lo ricordavo.