Questo post è un po' più lungo del solito (e un po' più tecnico, ma non molto). È la versione italiana di quello ospitato ieri sul blog di Tommaso Dorigo. È stato stimolato da una serie di post e commenti su quel blog, a proposito del meeting che si è tenuto la scorsa settimana a Imperial College sulle Outstanding questions for the standard cosmological model. Ho tentato di riassumere un po' di idee sullo stato del problema dell'energia oscura in cosmologia e in fisica fondamentale: ovviamente, in modo estremamente sintetico e non accademico, ma che spero possa essere utile.
I fatti
Nell’ultimo decennio, i cosmologi hanno osservato molte supernovae lontane di tipo Ia, che sono esplosioni con le quali finisce la vita di alcune stelle. Questa classe particolare di supernovae presenta una forte correlazione tra la luminosità intrinseca e la curva di luce (essenzialmente, il tempo che impiega la luminosità per diminuire dal valore massimo fino a un certo valore prestabilito): in pratica, ciò significa che si può determinare accuratamente la luminosità reale di una supernova Ia. Quindi, se misuriamo la loro luminosità apparente, possiamo stimare la loro distanza, nello stesso modo in cui possiamo calcolare la distanza di una lampadina da 100 W dalla misura del suo flusso. Tecnicamente, quello che si misura con le supernovae è una quantità chiamata “distanza di luminosità”, che è legata a un’altra quantità osservabile, il redshift, o “spostamento verso il rosso” (le linee note nello spettro di qualsiasi sorgente lontana nell’universo appaiono sistematicamente spostate verso lunghezze d’onda più grandi – luce più rossa nello spettro visibile – a causa dell’espansione dell’universo). La relazione tra distanza di luminosità e redshift dipende dal modello cosmologico, e qui arriviamo al punto fondamentale: è stato scoperto per la prima volta nel 1998, e in seguito sempre confermato da ulteriori misure, che la relazione tra distanza e redshift delle supernovae si accorda con i modelli teorici solo se si assume che l’espansione dell’universo sta accelerando. Quindi, per sintetizzare: 1) le supernovae di tipo Ia sono “candele standard”, cioè oggetti di cui si conosce la vera luminosità e si può quindi calcolare la distanza, mettendola poi in relazione con il redshift; 2) la loro luminosità apparente è sempre minore di quanto ci si aspetterebbe (cioè sono più lontane del previsto), in un modo che suggerisce che l’universo si è espanso recentemente con una velocità crescente.
Non si potrebbe spiegare la diminuzione di luminosità delle supernovae con qualche altro modello fisico? In linea di principio, sì: per esempio, della polvere che si trovi lungo la linea di vista potrebbe causare una diffusione e un’attenuazione della luce. Tuttavia, queste spiegazioni alternative sono molto contorte (richiedono cioè delle ipotesi ad-hoc: per esempio, dovrebbe esserci una continua produzione di polvere per compensare l’aumento di volume dell’universo causato dall’espansione) e non sembrano dunque molto plausibili. La spiegazione più semplice, al momento, è che la velocità di espansione dell’universo sta aumentando.
L’ipotesi
Qual è allora la causa dell’espansione accelerata? Qualunque sia la spiegazione, deve trattarsi di qualcosa di strano, dal momento che i modelli cosmologici ordinari prevedono che la velocità di espansione dell’universo diminuisca col passare del tempo. Infatti, l’attrazione gravitazionale esercitata da tutta la materia contenuta nell’universo dovrebbe fare da freno all’espansione, non certo da spinta! Perciò, sembrerebbe proprio che qualche tipo di fenomeno di repulsione gravitazionale debba essere introdotto nel modello cosmologico per spiegare l’accelerazione osservata. L’approccio più semplice è quello di resuscitare una vecchia idea di Albert Einstein. Nel 1917, egli introdusse un nuovo termine nelle sue equazioni di campo della relatività generale. All’epoca non si era ancora a conoscenza dell’espansione dell’universo, perciò questo nuovo termine “repulsivo”, chiamato costante cosmologica, serviva in realtà a mantenere l’universo statico, impedendone il collasso. Ma se l’universo, come ora sappiamo, si espande, l’effetto della costante cosmologica sarebbe quello di accelerare l’espansione.
Ma cos’è realmente la costante cosmologica? Fondamentalmente, esistono due possibili interpretazioni. Una è quella di considerarla una nuova costante di natura che modifica la metrica dello spaziotempo: si può pensarla, cioè, come una caratteristica intrinseca dello spaziotempo che non dipende da quanta materia (o energia) esiste nell’universo. Questo è più o meno il modo in cui la immaginava lo stesso Einstein. L’altra interpretazione è quella che considera la costante cosmologica come la densità di energia del vuoto (ovvero dello spaziotempo stesso, una volta che venga tolta tutta la materia ed energia). Questo è il punto di vista moderno, dal momento che è legato al concetto di energia di punto zero delle teorie di campo quantistiche: in parole povere, quando si sommano i contributi dell’energia dello stato fondamentale di tutti i campi quantistici, ci si aspetta in generale un risultato non nullo. Questo contributo energetico di solito non si nota, in quanto in laboratorio si misurano differenze di energia tra gli stati, e ogni contributo dall’energia di punto zero è comune a tutte le misure, per così dire. Tuttavia, la densità di energia del vuoto è rilevante in cosmologia, dal momento che deve portare a un’accelerazione dell’espansione dell’universo.
Il problema
Allora, sembrerebbe che tutto sia a posto: osserviamo che l’espansione dell’universo è accelerata, e possiamo spiegarlo tramite l’esistenza di una costante cosmologica. Sfortunatamente, le cose sono molto più complicate. Il problema è che qualsiasi stima del valore dell’energia del vuoto dalla teoria quantistica dei campi è grossolanamente sbagliata: da 60 fino a 120 ordini di grandezza (proprio così: 10 elevato alla 60 o alla 120!) più grande del valore misurato dalle osservazioni cosmologiche. Nessuno sa di preciso cosa vada storto. Stiamo forse sbagliando qualcosa di fondamentale nelle teorie di campo? Esiste un meccanismo che cancella il contributo degli stati fondamentali e rende l’energia del vuoto nulla o quasi? Ma se questo è il caso, perché la cancellazione è solo parziale, lasciando un’energia del vuoto grande quel tanto che basta a far accelerare l’universo in epoche recenti? (Il momento in cui l’accelerazione inizia, infatti, dipende dal valore della costante cosmologica. Ciò che osserviamo è che l’accelerazione è iniziata solo qualche miliardo di anni fa. Se la costante cosmologica fosse stata solo leggermente più grande, l’accelerazione sarebbe iniziata molto prima, impedendo la formazione di qualsiasi struttura nell’universo, inclusa la nostra stessa galassia!) Perché la presunta cancellazione non rende la costante cosmologica esattamente uguale a zero? Questo è un esempio di quello che i fisici chiamano “regolazione fine” (fine tuning, in inglese): il parametro di un modello deve trovarsi all’interno di un intervallo molto ristretto di valori, senza che esista nessuna ragione plausibile a priori. Quello dell’innaturale piccolezza dell’energia del vuoto è probabilmente uno dei problemi più profondi della fisica moderna.
Alternative
Possiamo fare a meno della costante cosmologica? (Dopotutto, lo stesso Einstein la definì il suo “più grande abbaglio” e per quasi ottant’anni nessuno davvero ha pensato che il suo valore fosse diverso da zero). Sfortunatamente, sembra proprio di no. Per esempio, sappiamo che l’universo ha una geometria piatta, un fatto scoperto per la prima volta nel 2000 dagli esperimenti BOOMERANG e MAXIMA, che hanno misurato l’anisotropia della radiazione cosmica di fondo. Questo fatto è stato poi confermato con maggiore precisione dal satellite WMAP nel 2003. Il fatto che l’universo è piatto implica che la sua densità complessiva è molto vicina a un certo valore critico (dal momento che la teoria della relatività generale di Einstein lega il contenuto di materia ed energia dell’universo alla sua geometria). Ma semplicemente non sembra esserci abbastanza materia nell’universo (anche assumendo l’esistenza di una forma ignota di materia oscura) da renderlo piatto. L’energia del vuoto sembra fornire esattamente la densità che manca per raggiungere il valore critico necessario. Un’altra ragione per cui i cosmologi hanno salutato con soddisfazione il riapparire della costante cosmologica è che essa aiuta a risolvere un problema con l’età dell’universo. Se la costante cosmologica fosse nulla, i modelli cosmologici darebbero un universo leggermente più giovane delle più vecchie stelle osservate!
Quindi, esistono diverse evidenze indipendenti e convergenti che portano a supporre che il valore della costante cosmologica debba essere diverso da zero. Ma a causa dei problemi concettuali legati a questo fatto, i fisici teorici stanno provando a escogitare idee alternative per interpretare le osservazioni cosmologiche. Ce ne sono così tante che non proverò a riassumerle tutte qui, ma fondamentalmente possono classificarsi in due tipi: o la teoria che descrive la gravitazione su scale fisiche molto grandi deve essere modificata, oppure deve esistere nell’universo una qualche componente sconosciuta con caratteristiche molto simili alla costante cosmologica. L’ultima alternativa include una classe molto vasta di modelli, che rientrano nella categoria della cosiddetta “energia oscura”: una componente che, a parte la gravità, non avrebbe nessun’altra interazione fisica con il resto della materia (o, se ce l’ha, è estremamente debole). Questa componente dovrebbe inoltre essere diffusa quasi uniformemente in tutto l’universo, così da non creare nessun “coagulo” che possa essere osservato direttamente. Molta parte della ricerca cosmologica odierna si concentra proprio sul tentativo di chiarire meglio la natura di questa energia oscura. Al momento, tuttavia, non c’è alcuna osservazione che indichi chiaramente che dovremmo abbandonare la “vecchia” costante cosmologica in favore di qualche modello più sofisticato. Quando, nel prossimo futuro, avremo dati migliori, saremo probabilmente in grado di capire più chiaramente cosa sta succedendo. Tuttavia, è anche possibile che il progresso verrà dal lato teorico: forse il problema della costante cosmologica sarà risolto quando raggiungeremo una comprensione migliore dell’unificazione delle interazioni fondamentali.