Ho finito di leggere le (faticosissime) seicento pagine de "La mente nuova dell'imperatore" di Roger Penrose (con circa venti anni di ritardo da quando è uscito).
Il tema centrale del libro si può riassumere in questo modo: Penrose crede che la coscienza umana sia non-algoritmica, cioè (detto in modo molto semplificato) che essa non possa essere prodotta (o ri-prodotta) da un calcolatore, indipendentemente dalla sua potenza di calcolo. In altre parole, Penrose non condivide le tesi dei fautori della cosiddetta intelligenza artificiale forte, secondo cui presto o tardi verrà costruito un computer, simile ad Hal 9000, dotato di autocoscienza (o, in grado di simularla, il che, secondo il pioniere dell’intelligenza artificiale Alan Turing, sarebbe di fatto equivalente).
Secondo Penrose, la nostra capacità di capire davvero il funzionamente del cervello e l’origine della coscienza sarebbe attualmente limitata dalla scarsa comprensione del ruolo che vi gioca la fisica quantistica. Per portare il lettore a condividere la sua affermazione, Penrose si imbarca in un tour-de-force che attraversa gran parte dello scibile fisico-matematico contemporaneo: dalle macchine di Turing al teorema di Gödel, dalla fisica classica alla teoria della relatività generale, dalla meccanica quantistica alla cosmologia, passando per i buchi neri e la teoria dell’informazione. Durante la lettura, si resta talmente storditi dalla quantità e vastità di nozioni esposte che si perde di vista il punto nodale del libro, e personalmente non posso certo dire di essere rimasto in alcun modo convinto della tesi di Penrose. Però ci sono moltissime cose interessanti e degne di essere approfondite: l'asimmetria temporale in cosmologia, la natura delle verità matematiche e la loro sorprendente corrispondenza con le leggi del mondo fisico, la questione del libero arbitrio e del determinismo.
In un certo senso, “La mente nuova dell’imperatore” somiglia molto a un altro libro, che sostiene invece la causa dell'intelligenza artificiale forte: “Gödel, Escher, Bach” di Douglas Hofstadter. Entrambi sono densi di stimoli e di informazioni, e seminano in chi li legge una grande quantità di suggestioni e di spunti di riflessione: ma entrambi fanno grandi promesse senza mantenerle davvero, e nessuno dei due riesce, a mio parere, a fare la mossa risolutiva o a convincere che il profluvio di argomentazioni esposte sia effettivamente funzionale alla dimostrazione di una tesi.
Comunque, siccome alla fine la cosa che mi è piaciuta di più del libro di Penrose (indipendentemente dalla presunta motivazione di fondo) è stata proprio la sua capacità di saltare da un argomento all’altro e di stabilire connessioni tra campi diversi del sapere, ho comprato anche la sua ultima fatica "La strada che porta alla realtà". Le pagine stavolta sono più di mille, l’idea alla base è quella di fornire una guida alle leggi della fisica enfatizzandone la sottostante armonia matematica. Forse ne parlerò tra una ventina d’anni…