28 settembre 2011

Einstein e i limiti di velocità

Negli ultimi giorni, dopo aver visto il putiferio sollevato dalla notizia che (forse) i neutrini possono viaggiare più veloci della luce, qualcuno si sarà chiesto: ma cos'ha di così speciale la velocità della luce? Da dove sbuca fuori questo limite che la natura ha imposto al moto dei corpi e alla propagazione dei segnali? Cosa rende impossibile (fino a prova contraria) oltrepassarlo? Come tutti più o meno sanno, c'entra qualcosa Einstein. Ma in che modo, esattamente?

In realtà bisogna partire addirittura da Galileo. Il pisano aveva capito che le leggi della fisica devono essere le stesse in qualunque sistema di riferimento in moto rettilineo e uniforme. D'accordo, non l'avrebbe detto esattamente con queste parole, ma il senso era questo: le regole che usate per descrivere i fenomeni naturali sono le stesse sia che vi troviate, ad esempio, su una nave che si muova in linea retta e a velocità costante, sia che siate fermi nel porto. (L'esempio della nave lo fa Galileo stesso, in modo molto più letterario.) Questo è il principio di relatività galileiana, su cui la fisica ha campato benissimo per tre secoli buoni. Perché le cose tornino, bisogna solo tenere conto della velocità relativa tra i sistemi di riferimento, per esempio quella della nave rispetto al porto. Se per esempio un marinaio si sposta in linea retta da poppa a prua a 5 chilometri all'ora, e la nave si sposta a 50 chilometri all'ora rispetto al porto, un osservatore nel porto vedrà il marinaio muoversi a 55 chilometri all'ora (la sua velocità rispetto alla nave, più quella della nave).

Quando arriva Einstein, sono cambiate due cose. La prima è che hanno inventato il treno, per cui l'esempio della nave è superato e Einstein nei suoi lavori parla di stazioni e vagoni. Ma questo non è importante. La seconda cosa è molto più seria. I fisici hanno cominciato da qualche decennio a giocare con i magneti e l'elettricità. Maxwell ha ricavato delle bellissime leggi che spiegano perfettamente i fenomeni elettromagnetici, si è capito che la luce è una forma di radiazione elettromagnetica, e insomma tutto sembra filare per il verso giusto.

Be', quasi tutto. In realtà, si è capito anche che la luce si propaga nel vuoto sempre esattamente alla stessa velocità, qualunque sia la velocità e la direzione del moto del corpo che emette la luce. È una costante, non cambia, ha un valore universale: tanto vale indicarla con una lettera, la c.

Bum. Questo fatto apparentemente innocuo manda per aria il principio di relatività di Galileo. Come è possibile che la velocità della luce non si sommi a quella del sistema di riferimento da cui viene emessa? Quando Einstein arriva sulla scena, le soluzioni proposte al problema sono di due tipi: o è il principio di relatività a essere sbagliato, oppure lo è la legge di propagazione della luce. Nel primo caso i sistemi di riferimento in moto rettilineo e uniforme non sarebbero tutti uguali, e dovrebbe esistere un sistema di riferimento speciale, che potrebbe essere considerato in quiete assoluta. Nel secondo caso, le leggi di Maxwell dovrebbero finire nel cestino. Einstein trova orribili e fisicamente ingiustificate entrambe le alternative, e allora prende il coraggio a due mani, imboccando l’ultima strada rimasta: assume che debbano essere contemporaneamente validi sia il principio di relatività che la costanza della velocità della luce.

La teoria della relatività speciale (o ristretta) nasce da qui. Naturalmente, per salvare capra e cavoli, Einstein deve cambiare le regole con cui si confrontano le osservazioni nei vari sistemi di riferimento. Non va più bene sommare semplicemente le velocità, come nel caso del marinaio e della nave. Le nuove leggi per passare da un sistema all'altro (che prendono il nome da Lorentz, che le aveva dedotte prima di Einstein) sono più complicate, e si portano dietro tutti gli effetti per cui la relatività è diventata celebre tra i profani: lo scorrere del tempo non è più assoluto, ma dipende dal moto dell’osservatore, e lo stesso vale per le lunghezze dei corpi. Una volta accettati questi risultati lontani dall’intuizione, tutto il resto va a posto perfettamente. Abbandonati i concetti innati di spazio e di tempo, le contraddizioni spariscono e le leggi dell’elettromagnetismo sono perfettamente valide in tutti i sistemi di riferimento in moto rettilineo uniforme.

Ma dicevamo della velocità della luce come limite insuperabile. Fino a qui del divieto non c’è traccia. Da dove esce fuori?

Ci siamo quasi. Un primo indizio del fatto che alla natura non piaccia che si superi c viene dal modo in cui si combinano fra loro le velocità in relatività ristretta. Nella fisica classica, come abbiamo visto con l'esempio del marinaio e della nave, basta sommare. Se mi muovo a velocità v all'interno di un sistema che si muove a sua volta a velocità w (nella stessa direzione) rispetto a un osservatore esterno, a quell'osservatore la mia velocità apparirà essere semplicemente v+w. Nulla impedisce che questa somma dia come risultato un valore maggiore di c. In relatività ristretta, la formula per combinare le velocità è più complicata, ma il succo è che il risultato non è mai maggior della velocità della luce. Non c'è verso. Persino se v=w=c, il risultato totale è soltanto c. (Se volete vedere la formula e divertirvi con i numeri, usate Wolfram Alpha.)

Ma la botta definitiva deve ancora arrivare. A un certo punto, Einstein usa le trasformazioni di Lorentz per calcolare l’energia necessaria ad accelerare una particella di massa m, inizialmente in quiete, fino alla velocità v. Nella fisica classica, questa energia si ottiene moltiplicando la massa per il quadrato della velocità da raggiungere e dividendo il risultato per due. Nulla vi impedisce di superare la velocità della luce, a patto di avere abbastanza energia da spendere. (Provate a calcolare.)

In relatività ristretta, la formula si complica, ed è questa che vi frega. (Anche in questo caso, potete usare Wolfram Alpha.) Quando v=c, spunta fuori una divisione per 0. E, come si sa, dividere per 0 dà un risultato infinito. Non importa quanta energia abbiate a disposizione, e quanto piccola sia la massa della particella da accelerare: man mano che vi avvicinate alla velocità della luce, c, avrete bisogno di sempre maggiore energia. Non ce la farete mai.

Arrivato a questo punto (l'articolo è "L'elettrodinamica dei corpi in movimento", del 1905) Einstein commenta: "Velocità superiori a quella della luce non hanno alcuna possibilità di esistenza". Fine della storia.

(Dei rapporti di causa effetto, magari parliamo un'altra volta.)
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