13 giugno 2009

Vite degli astronomi /6. William Herschel (1738 - 1822)

L'astronomia, molto più di altre scienze, esercita da sempre un'irresistibile attrazione sui dilettanti. Prendete William Herschel. Uno che di mestiere faceva il musicista, suonava svariati strumenti e scriveva composizioni a getto continuo. Ce lo ricordiamo forse per le sue sinfonie? Manco per niente. Fosse per quelle, oggi Herschel starebbe parecchi gradini sotto Salieri nelle storie della musica. Fortunatamente, il buon William si divertiva a costruire telescopi nel giardino di casa, e di notte ci guardava il cielo. Un passatempo come un altro (d'altra parte all'epoca non avevano internet).

Sennonché, una notte del 1781, Herschel fece la scoperta che gli cambiò la vita. Col suo telescopio fatto in casa, scoprì un pianeta mai osservato prima, che chiamò (memore del successo di marketing di Galileo in circostanze analoghe, quando riuscì a piazzare i satelliti di Giove come Pianeti Medicei guadagnandosi un impiego stabile a Firenze) Astro di Giorgio. La furbata raggiunse il suo scopo: re Giorgio III diede a Herschel una barca di soldi, che Herschel reinvestì prontamente nella creazione del telescopio più potente dell'epoca, un trabiccolo mastodontico di legno e acciaio che farebbe la gioia di un amante dello steampunk. (Dopodiché, il pianeta cambiò nome e diventò Urano — un nome che nella versione inglese non suona molto bene, ma questo è un altro discorso).

A quel punto, il musicista Herschel cambiò definitivamente mestiere. E la stoffa dell'astronomo ce l'aveva davvero. Assistito dalla sorella Caroline, cominciò a fare un inventario meticoloso delle stelle visibili in cielo, un compito che richiedeva pazienza e costanza al limite del maniacale. Herschel era convinto che il suo occhio allenato a riconoscere in un lampo grappoli di note sul pentagramma fosse ciò che lo rendeva adatto a costruire una mappa dettagliata del cielo stellato. Verso la fine del settecento, l'ormai ex-musicista aveva catalogato migliaia di oggetti celesti, e le sue osservazioni gli erano servite per costruire quello che può essere considerato il primo modello della struttura tridimensionale della nostra galassia, la Via Lattea — uno schema che oggi sappiamo in gran parte errato, ma che era il migliore possibile con gli strumenti dell'epoca.

Ma la scoperta più strabiliante di Herschel fu un'altra, una di quelle meraviglie da scienza ottocentesca realizzabili con pochi mezzi e che sanno sempre un po' di baraccone. Un giorno Herschel prese un termometro e lo espose alla luce colorata prodotta da un prisma di vetro attraversato dalla luce solare. Com'era ovvio, la temperatura si alzava dove batteva la luce. Continuò a spostare il termometro lungo la striscia colorata: violetto-indaco-azzurro-verde-giallo-arancione-rosso, e poi oltre, dove non c'era più luce diretta. Ma anche lì, immediatamente oltre il rosso, la temperatura segnata dal termometro non solo non calava, ma diventava addirittura più alta. In poche parole, c'era una specie di luce invisibile che arrivava dal Sole e riscaldava il termometro (qui dovete immaginare un capannello di uomini in cilindro e redingote e di donne con l'ombrellino che fanno "oooh"). Herschel aveva scoperto la radiazione infrarossa, quella che, tra le altre cose, provoca l'innalzamento della temperatura terrestre per l'effetto serra. E che oggi ci permette di osservare regioni dell'universo altrimenti invisibili agli occhi. Ma questo Herschel non lo seppe mai.

(Herschel chiamò quella luce invisibile "raggi calorifici", che è un nome indubbiamente molto più romantico. Scienza ottocentesca, appunto.)
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