30 luglio 2007

Questione di definizioni

La discussione sullo stato della fantascienza, iniziata con il post precedente, prosegue sul blog di Giovanni De Matteo (al quale, fresco vincitore del Premio Urania, vanno le mie congratulazioni pubbliche dopo quelle che gli avevo già fatto in privato). Alla fine, come spesso accade, il problema è quello di mettersi d’accordo sulle definizioni, dato che sono fantascienza, per dire, i romanzi di Dick e i fumetti di Flash Gordon, il cyberpunk di Gibson e la space opera umanistica di Star Trek, la provincia americana trapiantata su Marte di Bradbury e le visioni tecnologiche e postumane di Clarke (e poi, come collochiamo Kurt Vonnegut, o Douglas Adams?). Come tutti gli appassionati di fantascienza, so bene che per definirmi devo sempre aggiungere una serie di punti di riferimento da cui l’interlocutore capisca in che ambito si collochino i miei interessi: per esempio, ritengo che certa cosiddetta fantascienza avventurosa (alla Leigh Brackett, per capirci) sia, per quanto godibile, più propriamente accomunabile alla fantasy; oppure che molti dei romanzi di Asimov non siano nient’altro che romanzi gialli di ambientazione futuristica (qui so già che mi pioveranno addosso accuse di eresia). Gli stessi padri fondatori, se vogliamo definire così Verne e Wells, avevano due approcci piuttosto diversi tra loro: estrema attenzione all’accuratezza tecnologica, al limite della pedanteria, il primo; un interesse incentrato quasi esclusivamente sul piano filosofico-sociale, il secondo. Quindi, il punto è: cosa vogliamo farci, oggi, con la fantascienza? Giovanni tenta di abbozzare una sua personale definizione (che mi convince parecchio). La scorsa settimana aveva anche messo insieme una lunga serie di interpretazioni da fonti diverse. A me, una che era piaciuta parecchio è questa di Brian Aldiss:
“La fantascienza è la ricerca di una definizione dell'uomo e del suo ruolo nell'universo basata sulla nostra avanzata, ma confusa, conoscenza scientifica.”
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